1. Il contesto geo-politico dell'Accordo di Parigi del 2015

2. Gli effetti geopolitici ed energetici dell'implementazione dell'Accordo di Parigi

3. Resistenze nazionali al quadro geopolitico complessivo (es. Trump e la sua sconfitta)

4. La traiettoria di evoluzione del sistema energetico

5. Le relazione tra le nazioni

6. Dati mondo, europa e Italia (2015-2017)

 

   
    Il contesto geo-politico dell'Accordo di Parigi del 2015    
   

L'Accordo giunge a dicembre di un anno difficile, nel quale il terrorismo è riuscito a perpetrare attacchi spaventosi, anche nella città dove si tiene la COP21. Stati Uniti, Russia, Cina ed altre potenze si fronteggiano come antagonisti su vari fronti ma come alleati su altri.

Si pensi all'Ucraina, alla Siria, al nucleare iraniano, ad Israele, alla Corea del Nord.

Il primo dato di fondo è che le potenze riescono a compartimentalizzare le loro relazioni (di conflitto, neutralità o collaborazione) a seconda del tema trattato. Non vi è una escalation per la quale si rompono tutti i ponti e si mette un cordone sanitario intorno a qualcuno.

E l'Accordo di Parigi, universale nella sua acclamazione, sembra dimostrare che il clima è uno dei temi sui quali si può andare d'accordo. Si è tentati a pensare che la gravità dei cambiamenti climatici, la loro minaccia concreta, già manifestata in eventi drammatici come il tifone Hayan, per nominarne solo uno, sia alla base di questo fatto.

E che la scienza, ed i meccanismi interni ed esterni di verifica e consolidamento di un consenso informato, abbia svolto un ruolo centrale: l'IPCC colla sua struttura inter-governativa di scienziati scelti e nominati da tutte le nazioni ha dato una base conoscitiva e di orientamento sulle opzioni di prim'ordine.

Tutto questo è vero ma un consenso universale si era trovato a settembre anche su moltissimi altri temi, organizzati negli Obiettivi universali di sviluppo sostenibile:

Obiettivo 1. Sconfiggere la povertà: Porre fine alla povertà in tutte le sue forme, ovunque.
Obiettivo 2. Sconfiggere la fame: Porre fine alla fame, garantire la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un'agricoltura sostenibile.
Obiettivo 3. Buona salute: Garantire una vita sana e promuovere il benessere di tutti a tutte le età.
Obiettivo 4. Istruzione di qualità: Garantire a tutti un'istruzione inclusiva e promuovere opportunità di apprendimento permanente eque e di qualità.
Obiettivo 5. Parità di genere: Raggiungere la parità di genere attraverso l'emancipazione delle donne e delle ragazze.
Obiettivo 6. Acqua pulita e servizi igienico-sanitari: Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile di acqua e servizi igienico-sanitari.
Obiettivo 7. Energia rinnovabile e accessibile: Assicurare la disponibilità di servizi energetici accessibili, affidabili, sostenibili e moderni per tutti.
Obiettivo 8. Buona occupazione e crescita economica: Promuovere una crescita economica inclusiva, sostenuta e sostenibile, un'occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti.
Obiettivo 9. Innovazione e infrastrutture: Costruire infrastrutture solide, promuovere l'industrializzazione inclusiva e sostenibile e favorire l'innovazione.
Obiettivo 10. Ridurre le diseguaglianze: Ridurre le disuguaglianze all'interno e tra i Paesi.
Obiettivo 11. Città e comunità sostenibili: Creare città sostenibili e insediamenti umani che siano inclusivi, sicuri e solidi.
Obiettivo 12. Garantire modelli sostenibili di consumo e di produzione.
Obiettivo 13. Lotta contro il cambiamento climatico: Adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico e le sue conseguenze.
Obiettivo 14. Utilizzo sostenibile del mare: Conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile.
Obiettivo 15. Utilizzo sostenibile della terra: Proteggere, ristabilire e promuovere l'utilizzo sostenibile degli ecosistemi terrestri, gestire le foreste in modo sostenibile, combattere la desertificazione, bloccare e invertire il degrado del suolo e arrestare la perdita di biodiversità.
Obiettivo 16. Pace e giustizia: Promuovere società pacifiche e inclusive per uno sviluppo sostenibile, garantire a tutti l'accesso alla giustizia e creare istituzioni efficaci, responsabili e inclusive a tutti i livelli.
Obiettivo 17. Partnership per lo sviluppo sostenibile: Rafforzare gli strumenti di attuazione e rivitalizzare la partnership globale per lo sviluppo sostenibile

Come si vede sono obiettivi molto vasti e sfidanti, un vero e propro programma di governo. Uniti a 169 targets ed una montagna di indicatori che, da soli e in modo integrato, terranno il polso del progresso, ridefiniscono e consolidano cosa sia lo sviluppo sostenibile.

La nomina all'unanimità nel Consiglio di Sicurezza del socialista portoghese António Guterres, giovane al momento della Rivoluzione dei garofani e poi popolare primo ministro, come nuovo segretario generale dell'ONU ne conferma la portata.

Tutti questi obiettivi sono stati abbracciati nella plenaria dell'Assemblea delle Nazioni Unite e indicano lo sforzo della comunità internazionale e di tutti i Paesi indistintamente.

Una lista integrata di cose desiderabili, che allontana il burocraticismo, per porre sotto il naso degli abitanti del mondo un oggetto concreto, di fatto proponendosi come alternativa a fanatismi, razzismi ed incomprensioni.

Proprio mentre infuriano guerre locali e focolai di tensione, è al lavoro una ragnatela di soggetti che tengono esili fili di relazione.

Non a caso gli unici che, sparando menzogne e inventandosi le cifre, si oppongono attivamente all'Accordo sono quelli che odiano. Che innalzano muri. Che non si accorgono di vivere in una casa comune, che sta andando a fuoco e che chiede a tutti di fare uno sforzo per spegnerlo. Trump li ringalluzzirà. E se vincono ci saranno sempre più esodi e guerre, come questo bel libro documenta e pronostica.

Gli effetti geopolitici ed energetici dell'implementazione dell'Accordo di Parigi

Gli impegni presi in vista di Parigi durante il 2015 (oltre 1800 pagine) riguardano in misura eminente il settore energetico, con l'adozione di solare fotovoltaico e di eolico, con molti Gigawatt di potenza da installare (sia a breve che a medio-lungo termine).

Già oggi queste tecnologie sono piuttosto competitive; con i valori cumulati in gioco, esse diventeranno disruptive per molti mercati perché vi è una relazione stretta tra costo e produzione cumulata (più alta la seconda, più basso il primo).

La vittoria delle rinnovabili è il primo risultato pesante di Parigi. Esse non vengono citate nel testo dell'Accordo ma sono le uniche citate nella Decisione di COP che lo vara e sono presenti in oltre 100 Contributi promessi determinati a livello nazionale, con almeno 8 Paesi che puntano al 100% di rinnovabili e grandi Paesi come India e Cina con obiettivi quantitativi giganteschi (36 GW di eolido e 96 GW di solare al 2022 per la prima e 104 GW of eolico e 72 GW di solare al 2020 per la seconda).

Le rinnovabili sono incardinate negli Obiettivi universali di sviluppo sostenibile. E questo è in linea col mercato: in Europa nel 2015, si sono chiuse più centrali a carbone di quanto non ne siano state costruite di nuove. E sul solare si fanno previsioni e analisi approfondite, compreso il tema della sua riciclabilità o riuso dei componenti a fine vita utile.

A Dubai è stato varata una fornitura da solare fotovoltaico al prezzo di vendita alla rete di 2,7 centesimi al kWh.

Un mondo il cui modello energetico si approvvigiona da vento e sole è radicalmente diverso da quello che conosciamo, dove il petrolio e le altre fonti fossili sono stati motivi profondi di guerre (1870 per i giacimenti della Ruhr, le guerre petrolifere di Saddam e contro Saddam, ecc.). Quindi vi è un allentamento delle tensioni, al netto di altri drivers, naturalmente.

In secondo luogo, le fluttuazioni vertiginose del prezzo del petrolio (e quasi collinearmente del gas e del carbone) hanno prodotto ondate di inflazione che sono state spesso affrontate dalle Banche centrali con incrementi dei tassi d'interesse e politiche monetarie restrittive, che rendono oneroso il debito pubblico e quindi producono, se non compensate col volontarismo keynesiano, politiche fiscali restrittive. L'adozione combinata di queste politiche produce recessione, inasprimento dei conflitti sociali, miseria e disperazione sia in paesi sviluppati sia, ancor più, in paesi poveri.

Una economia dal modello energetico a rinnovabili rende stabile il prezzo guida dell'energia e riduce questa, importantissima, ragione di fluttuazione dell'economia globale.

I vantaggi macroeconomici sono così alti che, una volta imboccata questa strada, non ve ne saranno altre.

Resistenze nazionali al quadro geopolitico complessivo

L'elezione di Trump a presidente degli Stati Uniti nel 2016 ha rappresentato un elemento di dissonanza rispetto a questo quadro geopolitico, fondato su un'analisi scientifica solida ed un interesse di moltissimi paesi alla transizione. Ma gli Stati Uniti sono solo 1 su 197 dei membri dell'ONU e sono un paese spaccato: l'America di Trump vuole rilanciare il carbone ed è pronta ad usare argomenti del negazionismo più becero, l'America di Silicon Valley sta testa e mani nella transizione, Tesla inclusa.

Qual è il futuro? La disoccupazione strutturale, la povertà e il cancro così diffusi sugli Appalachi, dove si estrae carbone, o i redditi, gli stili di vita e l'uso delle tecnologie di Silicon Valley?

Il mondo è stato per qualche mese a vedere se Trump avrebbe fatto quello che aveva promesso in campagna elettorale - e che è più o meno coerente con le posizioni del Partito repubblicano. Ora, dopo la mossa di Trump di smettere di implementare l'Accordo e "uscirne", che analizziamo in dettaglio tra qualche riga, dovrà reagire.

La condanna è stata unanime. Il presidente francese Macron attacca frontalmente Trump e lancia l'appello agli scienziati americani a rischio finanziamenti a venire a lavorare in Francia. Italia, Francia e Germania con un comunicato congiunto affermano: "We deem the momentum generated in Paris in December 2015 irreversible and we firmly believe that the Paris Agreement cannot be renegotiated, since it is a vital instrument for our planet, societies and economies".

Juncker ha detto: "abbiamo negoziato per 20 anni, ora si tratta di implementare". Trudeau del Canada è riuscito a costruire un nuovo consenso con le province per un piano ambizioso (a wide-ranging agreement that includes not only carbon pricing but efforts to eliminate coal-fired power, reduce the carbon content of motor fuels, invest in renewable energy and electricity infrastructure, and support clean-technology and energy efficiency).

I sindaci delle principali città mondiali attaccano.

Qui una panoramica riassuntiva più ampia.

Ma anche dentro gli USA ci sono resistenze (sia a livello di stati che di città e imprese, e pure negli ambienti militari). Non a caso:

1. non avere lo scudo dell'Accordo di Parigi mette gli Stati Uniti in posizione di difetto e liability rispetto a future richieste di risarcimento per le "perdite e danni climatici";

2. il caso della Siria dimostra che lunghe siccità e altri fenomeni correlati ai cambiamenti climatici possono generare guerre civili o internazionali, ondate migratorie forzate e fratture culturali che mettono a rischio la pace e il consenso intorno ad essa.

Consapevole che la battaglia sarà lunga e fatta di tanti altre elezioni presidenziali, gli USA di Obama, dopo la vittoria di Trump, avevano consegnato all'UNFCCC la loro strategia nazionale di lungo periodo, documento che impegna di qui al 2050.

Ma vediamo meglio cosa ha fatto e cosa non è riuscito a fare Trump il 1 giugno 2017. L'art. 28 dell'Accordo gli impediva di notificare formalmente alle Nazioni Unite il ritiro dall'Accordo, poiché ciò è possibile solo dopo tre anni di permanenza (comma 1), e pure si prende un ulteriore anno per avere efficacia (comma 2).

Allora Trump ha "cessato l'implementazione" dell'Accordo e negato che atti domestici possano avere base legale in esso ("cease all implementation of the non-binding Paris Accord and the draconian financial and economic burdens the agreement imposes on our country. This includes ending the implementation of the nationally determined contribution and, very importantly, the Green Climate Fund which is costing the United States a vast fortune").

Questa decisione, affidata ad un intervento alla stampa (nel quale ha parlato anche di altro), privo del crisma dello strumento di Acceptance, con cui Obama lo aveva ratificato nel librone delle Nazioni Unite, è illegale, sia nei termini del diritto internazionale che rispetto alla legge americana.

Se una legge non ti piace, non basta che fai un comunicato stampa per dire che tutti la possono disobbedire: devi mettere in campo un procedimento di modifica della legge - ed ottenerne le relative votazioni o consensi.

La sospensione unilaterale del Contributo determinato a livello nazionale infrange il testo dell'Accordo (poiché non si può avere un impegno inferiore a quanto indicato in passato - in gergo: "backsliding"), il quale è ancora in vigore per gli USA, come spiega anche questo articolo del New York Times.

Inoltre smettere di finanziare il Fondo Climatico Verde è in contrasto con gli impegni presi a Copenhagen nel 2009 (e io c'ero! e scrivevo tra i primi un commento a questo strumento), poi confluiti negli Accordi di Cancun del 2010. Lede quindi la partecipazione alla Convenzione (UNFCCC) e quella "leadership dei paesi sviluppati" da essa indicata fin dal lontano 1992 (con ratifica del Senato e firma del presidente repubblicano Bush padre). E solo il Congresso può stabilire cosa finanziare (e cosa no).

Da leader a rogue state: questa la parabola che gli Stati Uniti di Trump avevano preso di fronte alla comunità internazionale (sul clima ma non solo). E che ora è stata punita dagli elettori americani.

E' interessante che già in precedenza i politici appoggiati da Trump (e da un Putin di cui si discute la longa manus nell'elezione del primo) subiscano sconfitte elettorali importanti (da Teresa May a Marine Le Pen) ed i loro successori (es. Boris Johnson) usino il clima per cercare di far dimenticare la vecchia amicizia.

E' stato quindi con grande sollievo ma in modo non del tutto inaspettato che accogliamo la notizia della vittoria di Joe Biden alla presidenza americana. Dopo aver indicato il nuovo obiettivo di neutralità climatica al 2050 e di zero emissioni nella produzione elettrica nel 2035, il nuovo presidente ha già promesso di far rientrare il suo paese nell'Accordo di Parigi. La nomina di Kerry, che negoziò l'accordo a Parigi firmandolo con la nipotina in braccio, a delegato sul clima di Biden promette molto bene.

 

Fuori dagli USA, le conseguenze dell'uscita (sbandierata da Trump al di là della legalità domestica ed internazionale), sono stati di raddoppiare gli sforzi e gli altri paesi hanno fatto passi da giganti.

Un'analisi quantitativa degli stessi Stati Uniti mostra che il carbone non è stato aiutato dalla retorica di Trump ma è stato condannato dalla competitività delle rinnovabili. Se succederà la stessa cosa nel settore della mobilità, degli edifici e dell'alimentazione, il risultato di limitare a 1.5C il riscaldamento globle è ancora a portata.

Non dimentichiamoci che nel settore dell'energia, a incidere in modo particolarmente pronunciato è il carbone. Se se ne brucia troppo, si contraggono rapidamente gli spazi dentro il carbon budget (di 1.5C o di "ben al di sotto dei due gradi") per gli altri combustibili fossili (gas e petrolio). Quindi la guerra al carbone la stanno facendo anche gli interessi di Gas & Oil.

   
   

Non è un caso che la proposta di SEN in Italia contenga appunto l'uscita dal carbone.

   
   

La traiettoria di evoluzione del sistema energetico

I Paesi sono diversissimi sotto il profilo del mix energetico delle fonti che utilizzano per produrre elettricità ed energia primaria in genere.

In alcuni Paesi, il gas naturale potrebbe essere il naturale alleato delle rinnovabili durante la transizione - andando a compensare ogni fluttuazione occasionale e periodo temporale strutturale in cui il fotovoltaico (la cui produzione si concentra nelle ore centrali della giornata ed è zero di notte) e l'eolico (presente anche di notte ma abbastanza erratico, finché la sua presenza non si diffonde geograficamente in ambiti più ampi e interconnessi, incluso l'offshore) non soddisfano la domanda. L'estrema flessibilità degli impianti a gas li rende tecnologicamente complementari alle rinnovabili.

Ma perché questo accada, essendo il gas naturale tendenzialmente più costoso di carbone e nucleare, occorre "spegnere" questi due (in modo da avere periodi redditizi di uso del gas sufficientemente lunghi da rendere sensato mantenerli pronti). Via via che cresce la quota delle rinnovabili, occorrre aiutare il decollo della mobilità elettrica e l'interconnessione della rete elettrica con gli altri Paesi (fisica e di mercato). E' una traiettoria da governare, che non avviene spontaneamente.

Se non si interviente proattivamente, la dinamica in Germania ha mostrato con chiarezza che la crescita delle rinnovabili colpisce i profitti delle altre fonti, mettendole ko, e riducendo al minimo i prezzi di mercato dell'elettricità, come spiegato ampiamente da questo articolo.

Ma tentare di fermare le rinnovabili in un solo paese è come mettere il dito su una crepa in una diga idroelettrica.

Alla rapida decarbonizzazione dell'elettricità può e deve accompagnarsi l'elettrificazione dei trasporti, resi molto più sostenibili da azioni adeguate alla tipologia di sfide che ciascun Paese affronta.

   
   

Le relazione tra le nazioni

Combattere insieme una sfida comune, tanto più se porta a un modello energetico così vantaggioso (sia pure non per gli inquinatori più pesanti, che continueranno ad opporsi!) migliorerà le relazioni tra le nazioni, che ho descritto analiticamente in questo paper, presentato all'Università di Princeton qualche anno fa.

   
         
Dati 2015: in Europa sono stati smantellati più impianti a carbone (e nucleari) di quanti non ne siano stati costruiti. L'eolico ha visto il maggiore incremento di potenza installata. Da otto anni le rinnovabili rappresentano più del 55% della nuova potenza installata.
 
Dati 2015 Mondo: vedi il rapporto UNEP e quello di REN21.
Dati 2016 : rapporto REN21 di Giugno 2017, che afferma:

"Newly installed renewable power capacity set new records in 2016, with 161 gigawatts (GW) added, increasing the global total by almost 9% relative to 2015. Solar PV was the
star performer in 2016, accounting for around 47% of the total additions, followed by wind power at 34% and hydropower at 15.5%. For the fifth consecutive year, investment in new renewable power capacity (including all hydropower) was roughly double the investment in fossil fuel generating capacity, reaching USD 249.8 billion. The world now adds more renewable power capacity annually than it adds in net new capacity from all fossil fuels combined.

Cost for electricity from solar PV and wind is rapidly falling. Record-breaking tenders for solar PV occurred in Argentina, Chile, India, Jordan, Saudi Arabia and the United
Arab Emirates, with bids in some markets below USD 0.03 per kilowatt-hour (kWh).

Parallel developments in the wind power sector saw record low bids in several countries, including Chile, India, Mexico and Morocco".

Per dati sull'Italia si veda ad esempio: Rapporto del GSE del 2017 e il Rapporto 2017 delle emissioni per settore (ISPRA).

Dati 2020: https://www.globalcarbonproject.org/carbonbudget/20/files/GCP_CarbonBudget_2020.pdf

Fonte: https://www.globalcarbonproject.org/

 

 

Struttura generale dell'Accordo

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