La struttura dell'Accordo può essere vista come "una scimmia sullo skateboard". Gli occhi dell'Accordo di Parigi sono nel Preambolo e all'art. 2 dove si indicano tre obiettivi di pari dignità: essi sono la visione del futuro e gli impegni da raggiungere.

L'art. 1 è in realtà solo fatto di definizioni, molto banali per altro.

A inserire una gerarchia tra gli articoli seguenti è l'art. 3, il cuore dell'Accordo. Esso prevede che "Tutti i Paesi devono intraprendere e comunicare sforzi ambiziosi" su una selezione particolare degli articoli che seguono (es. il primo dei tre articoli sulla mitigazione") "al fine di raggiungere gli obiettivi indicati nell'art. 2".

Le due gambe dell'Accordo sono mitigazione e adattamento, ma vi è in coda il tema dei "danni e perdite climatiche" nonché la questione della "partecipazione pubblica" alle decisioni.

La banana delle cose ottenute dai Paesi sono soldi, tecnologia e competenze per il cambiamento organizzativo.

A mantenere vigile l'Accordo sono le orecchie: trasparenza ex-ante delle azioni, verifica che siano intraprese davvero (compliance) e una valutazione complessiva e globale su tutti i temi (global stocktaking).

A far correre l'Accordo sono tutti gli articoli che abbiamo collocati come skateboard, che si occupano della ratificazione, dell'entrata in vigore, di come votare le decisioni, di come fare emendamenti, come si fa ad uscire dall'Accordo, ecc. Tutti articoli tipici dei trattati internazionali, alla luce della Convenzione di Vienna sui trattati.

 
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