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Stili di vita alimentari, produzioni agricole ed allevamento: la direzione da prendere
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Le scelte alimentari individuali giocano un ruolo nel mandare un segnale alla filiera agroalimentare che riduca le emissioni. Ad essere responsabili dei principali impatti sono un novero relativamente ristretto di prodotti, che sono sono quindi effettivamente sostituibili. Nel contempo specifiche scelte tecniche e più ampie strategie territoriali di sviluppo sono cruciali. I cambiamenti comportamentali che aiuterebbero il clima includono innanzitutto la riduzione del consumo di carne rossa, già riconosciuta cancerogena, in quanto prodotta da ruminanti che, a seconda di quello che mangiano, producono più o meno gas serra. Il loro contributo diretto è complessivamente rilevante e rappresenta uno dei temi di più immediata attuabilità da parte delle famiglie. Ma l'emissione avviene alla fonte, non al momento del consumo (come invece succede quando accendiamo l'auto o il gas per cucinare). Questo vuol dire che la rinuncia individuale deve diventare calo dei consumi complessivi per avere un qualche effetto reale. Inoltre molte altri tipi di carne non hanno questi impatti e quindi sono potenzialmente dei buoni sostituti della carne rossa (al netto di un ulteriore passaggio ad uno stile di alimentazione vegetariano, flexitarian o vegano). Il pesce è di gran lunga più sano della carne, ma naturalmente occorre orientarsi se proveniene da mari iper-sfruttati o da colture che immettono nell'ecosistema prodotti come gli antibiotici. In secondo luogo, la scelta del cibo biologico fa complessivamente bene all'ambiente e, in molti casi, anche al contenuto di carbonio del terreno. L'Italia nel biologico ha un primato mondiale e può veramente insegnare anche ad altri a gestire la filiera, incluso col contributo della scienza. In terzo luogo, la produzione locale richiede molti meno km di trasporto, oggi prevalentemente su gomma e quindi ad alto impatto climatico. Tutto questo è oggetto di processo decisonale individuale e familiare, quindi oggetto di discussione ad esempio coi propri figli, magari implicati in scioperi per il clima. In generale le produzioni agricole vegetali non hanno particolari impatti serra, al netto del tema dei fertilizzati e in generale dell'inquinamento complessivo legato a pesticidi e altri prodotti chimici dell'agricoltura industriale convenzionale più arretrata. Ma se in un Paese si abbattono le foreste per far spazio all'agricoltura, allora vi è una seconda fonte di emissioni (dette LULUCF nel gergo del dibattito climatico, sigla che sta per Land Use, Land Use Change and Forestry). Nei paesi svilupppati europei, i consumi complessivi di carne rossa sono stazionari e sono largamente soddisfatti da territori che non hanno problemi di deforestazione. Quindi dal punto di vista climatico particolarmente problematici sono le transizioni alimentari nei paesi emergenti soddisfatte con produzioni da paesi come il Brasile o l'Indonesia. Da un punto di vista della giustizia climatica, le nostre riduzioni possono fare da compensazione per un incremento di consumo di carne che "fa bene alla salute" in Africa ed Asia. In tutto questo, quelli che possono essere dettagli tecnici, come la specifica composizione dei mangimi o l'appezzamento di terreno da cui proviene la produzione o un suo ingrediente cambiano notevolmente l'impronta climatica ed ecologica. Essendo difficile per il consumatore sapere o impattare questi fatti, è importantissimo il ruolo della filiera, dei suoi nodi decisionali (in logica di Global value chain), la politica pubblica e il suo monitoraggio (es. in fatto di divieto di deforestazione a prescindere dall'uso successivo della terra). Da un altro punto di vista, le foreste sono dei fondamentali serbatoi di carbonio, che vanno protette (sia da questo punto di vista che per la biodiversità che sostengono e per la vita delle popolazioni indigene che vi interagiscono in modo sostenibile). I boschi italiani sono in incremento relativamente spontaneo (con qualche investimento della "Forestale") ma vanno protetti dai sempre più numerosi incendi, per lo più dolosi ma che i cambiamenti climatici renderanno più ampi, veloci e distruttivi, con la siccità e un più difficile reperimento di acqua dolce per il loro spegnimento. In poche ore i boschi in fiamme rilasciano tutto il carbonio che vi si era accumulato negli anni e basta quindi un incremento di questi fenomeni per portare le foreste da serbatoio a fonte di emissione (con un pericoloso feedback positivo), effetto che può derivare anche da altre dinamiche, naturalmente.
Materiale integrativo: Sul tema delle foreste europee e della sostenibilità climatica
si può inoltre vedere questo mio lavoro: POLICY
OPTIONS FOR MAINSTREAMING FOREST-BASED MITIGATION oppure gli interventi sul tema pubblicati nel sito Climalteranti. |
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