Punto dell'Accordo dove compare l'indicazione
    Tutti i Paesi sono tenuti ad intraprendere e comunicare sforzi ambiziosi   Art. 3, prima frase.
    Ogni nuovo Contributo sarà più ambizioso del precedente.   Art. 3, seconda frase.
    Un Paese può in ogni momento incrementare l'ambizione del suo Contributo.   Art. 4.11.
    Ogni paese comunicherà il suo contributo ogni cinque anni, anche tenendo conto dell'analisi complessiva dei contributi e del gap rispetto agli obiettivi.   Art. 4.9.
 
    Tutti i paesi dovrebbero formulare e comunicare una strategia di lungo periodo di svilupo a base emissioni.   Art. 4. 19.
 
Perché uno stato dovrebbe rilanciare?
 
    Obiettivi già raggiunti   Perché ha già raggiunto in anticipo obiettivi che pensava avrebbe raggiunto nel 2020 o in altra data futura e quindi se non li innalza finisce per frenare - e non accelerare - l'impegno, nonostante sia riconosciuto dall'Accordo stesso il devastante "emission gap" tra quello che la scienza indica come necessario per raggiungere gli obiettivi e quello che gli Stati, collettivamente, hanno promesso.
    Politica   Perché un nuovo governo o un politico particolarmente ambizioso vuole imprimere una accelerazione
    Economia   Perché le sue imprese e gli investitori vogliono certezze e maggiori profitti per prodotti più puliti
    Società   Perché la società civile organizzata e altri soggetti (es. le città e le regioni) precorrono i tempi, dimostrano che è più facile di quello che pensano gli inquinatori
    Tecnologia   Perché l'adozione massiccia delle tecnologie pulite (anche grazie a quello che avviene negli altri paesi) abbassa i costi e le rende più affidabili e competitive (lo abbiamo già visto funzionare benissimo con l'eolico e il solare).
 
Quando sarà il prossimo rilancio?

Testo 2024:

A cavallo tra il 2024 e il 2025, a valle del Global stocktake nel quale è risultato che le promesse attuali sono totalmente insufficienti, che promesse passate sono state troppo spesso disattese e che quindi la revisione al rialzo deve riguardare sia gli obiettivi che le modalità di raggiungimento. Esso ha inoltre evidenziato che l'incremento della temperatura sta avvenendo alla massima velocità prevista dai modelli e forse anche oltre - e che danni previsti per il futuro stanno già avvenendo oggi.

Scrivevamo nel 2017:

A cavallo tra il 2018 e il 2019, in base alle decisioni dei singoli paesi (per noi prima l'UE, come ha riconosciuto il Parlamento europeo, e poi l'Italia), prese dopo aver partecipato al Facilitative dialogue del novembre 2018, previsto dalla decisione di COP che vara l'Accordo, nel quale si fa il punto sulle emissioni reali, su quanto la scienza richiede e il livello di incremento di ambizione necessario per chiudere il gap. Il Facilitative dialogue viene a sua volta preceduto e contestualizzato dalla presentazione del nuovo rapporto IPCC (settembre 2018).

Spieghiamoci meglio. Le pledges, cioè i contributi promessi, sono per lo più stati prodotti durante il 2015 prima di Parigi, in modo unilaterale, senza sapere cosa avrebbero promesso gli altri (poiché via via arrivavano alle Nazioni Unite in tempi diversi) e soprattutto senza sapere come sarebbe stato il testo dell'Accordo.

In quelle condizioni, molti Paesi si sono tenuti relativamente bassi nelle loro promesse.

Una volta approvato il testo, poteva esserci per qualcuno incertezza sui tempi di entrata in vigore (anche in Italia molti stavano pensando che sarebbe entrato in vigore nel 2020). Ma la firma prima e la ratificazione poi è stata a tempo di record: mai nessun trattato internazionale aveva avuto questi tempi.

Quindi complessivamente, al di là di resistenze nazionali, vi è un grande fervore nel portare avanti percorsi di decarbonizzazione che, proprio perché avvengono in parallelo tra tanti paesi, costituiscono un ampio mercato per i fornitori di soluzioni (e quindi la finanza si aspetta che almeno alcuni di loro abbiano un forte successo di mercato e ne manda le quotazioni alle stelle, facilitando i loro investimenti).

In termini legali, l'Accordo di Parigi prevede rilanci almeno ogni cinque anni, decisi dalle singole nazioni ma nel quadro di una stocktaking session nella quale si vede a che punto è il mondo (art. 14). E già sappiamo bene che vi è un fortissimo gap tra ciò che gli stati nel loro complesso hanno promesso e quello che è necessario per vincere la battaglia (come dimostra ad esempio il rapporto sull'Emission Gap dell'UNEP). Quindi il messaggio di fondo è che l'ambizione deve crescere di molto (es. del 25%).

I cinque anni dalle pledges stanno per passare. La data del 2023 per la prima stocktaking session è stata messa in un momento in cui il testo dell'Accordo sembrava ancora contenere la clausola che esso sarebbe entrato in vigore non prima del 2020 e quindi va inteso "tre anni dopo l'entrata in vigore". Non a caso, una volta caduta quella alternativa testuale, la decisione della COP che ha varato l'Accordo ha indetto un "dialogo facilitativo" che in sostanza è la stessa cosa. E' il momento in cui la comunità interazionale fa il punto e decide di fare di più, magari dando delle percentuali di riferimento per l'incremento dell'ambizione dei singoli paesi o per categorie di paesi.

A sua volta quella sessione è preceduta da documenti scientifici autorevoli ed indipendenti, la cui sintesi è normalmente affidata all'IPCC. Tale organizzazione inter-governativa, fatta di esperti altissimi nominati dagli Stati e le cui conclusioni vengono controfirmate dagli stati stessi (assicurando un estremo bilanciamento delle posizioni, ma sempre con riferimento alla produzione scientifica e statistica), ha ricevuto il compito da quella decisione di COP (e l'ha accettato) di redigere in tempo per il facilitativa dialogue del 2018 un nuovo rapporto speciale, incentrato su impatti e politiche necessarie limitando il riscaldamento globale a 1,5 gradi, come indicato dall'Accordo di Parigi (art. 2).

Quel rapporto, con ogni probabilità, affermerà che pur non generando i peggiori effetti climatici (che avvengono a temperature più alte) 1,5 già produce ingenti danni economici, di gran lunga superiori ai costi che i settori più inquinanti dovrebbero subire per mantenere il mondo entro tale limite. E che quindi conviene nettamente rimanere entro tale limite, imbarcandosi in traiettorie di decarbonizzazione di gran lunga più radicali di quelle prefigurate in passato (specie dagli stakeholders occidentali).

Vorrei dire molte più cose su 1,5 gradi, anche perché io stesso sono stato candidato a partecipare alla prima sessione di esplorazione del rapporto IPCC, anche se poi la short list non mi ha incluso. Sono stato viceversa accettato tra i 200 partecipanti della prima (e sostanzialmente unica) conferenza di produzione scientifica sull'argomento, tenutasi ad Oxford, dove il mio Economics Web Institute ha lanciato una call for co-authors su una lista di possibili papers e dove ho presentato uno scenario per la decarbonizzazione del settore dei trasporti in ogni paese del mondo (abstract a pag. 72 dei proceedings).

Ma al di là di me, il punto è che tutti coloro che hanno fortemente voluto l'Accordo di Parigi chiedono a gran voce una revisione al rialzo - e presto - degli obiettivi (e ancor più delle traiettorie anno per anno che li realizzano).

Il motivo di fondo è che stiamo velocemente esaurendo il carbon budget per livelli via via crescenti di temperature. Il carbon budget per 1.5 era, ad aprile 2017, di circa 4 anni. Cioè intorno al 2021-2022, se le emissioni rimangono ferme, come hanno effettivamente fatto all'incirca tra 2014 e 2016, avremo emesso una quantità di carbonio che, al netto di quanto riassorbito da oceani e terra (es. foreste), corrisponde grosso modo e in media ad un incremento di un grado e mezzo della temperatura globale media, con una probabilità del 66%. Intorno a queste medie vi sono di regola ampi scostamenti (regionali, annuali e stagionali - e a tutte le scale temporali inferiori), a volte anche peggiorativi (con temperature incrementate di ben più di un grado e mezzo), che hanno effetti reali su copertura vegetale, piante e suolo, precipitazioni, disponibilità idrica, facilità di incendi e durata loro effetti ex-post, cicli riproduttivi più o meno disassociati tra le diverse specie degli ecosistemi, ecc.

Dopo aver esaurito il carbon budget, non torneremo mai più a quelle temperature, cui l'umanità e gli ecosistemi si stavano lentamente abituando e adattando. E' irreversibile. Una volta che una pianta è seccata, non basta ridarle l'acqua per farla tornare in vita.

Invece molti stanno ancora trastullandosi con paroloni come "overshooting" e "emissioni negative", dando false speranze e facili scusanti ai politici per non agire (es. non aggiornare e di molto gli obiettivi, già quelli del 2020 - prima dell'esaurimento del carbon budget - e non solo quelli del 2030 - che a quel punto sarà stato superato). I biologi non si trastullano, qualche fisico - e soprattutto molti economisti - sì, perché nelle loro scienze i modelli usano un tipo di matematica nel quale le relazioni tra le variabili sono spesso reversibili e la loro concezione del tempo è che... possa tornare indietro!

Dopo aver stabilito che la Terra non è piatta, che il riscaldamento climatico non è una sciocchezza, è ora di dire con chiarezza che siamo l'ultima generazione a poter fare qualcosa per evitare le più devastanti conseguenze dei cambiamenti climatici.

E' perfettamente possibile che, nello scivolamento ed imbarbarimento delle relazioni internazionali seguito alla presidenza Trump, si perda l'occasione del 2018-2019. Ma allora ulteriori sofferenze seguiranno e i conflitti si radicalizzeranno.

 

 

 
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